venerdì 27 giugno 2008

Bagni e lo scudetto (al Milan....)

Da un forum interessante ho trovato questo....

Tratto da “Lucky Luciano – Intrighi, maneggi e scandali del padrone del calcio italiano Luciano Moggi”, Ala Sinistra e Mezzala Destra, Kaos Edizioni (Un libro scritto in joint-venture da tre giornalisti sportivi, che hanno preferito l’anonimato, e da Marco Travaglio)Calcio, camorra e cocainaAlcuni degli incredibili retroscena che hanno caratterizzato il quadriennio 1987-90 della squadra partenopea diretta da Moggi emergono alcuni anni dopo, grazie a un’inchiesta giudiziaria avviata dalla Procura della Repubblica di Napoli. Il 12 gennaio 1995 vengono arrestati due camorristi, Rosario Viglione e Vincenzo Buondonno; il manager di Maradona, Guillermo Coppola, evita l’arresto dandosi alla latitanza in Sudamerica. Tutto nasce dalle ammissioni di due pentiti della camorra: Pietro Pugliese, ex autista del fuoriclasse argentino, e Mario Fienga, ex narcotrafficante. I due raccontano di grandi “sniffate” collettive con alcuni calciatori del Napoli: droga-party in locali notturni molto simili a postriboli, ma anche nelle abitazioni di boss come i Giuliano e i Lo Russo, e a bordo di navi (come la “Achille Lauro”) e yacht privati. Lunghe piste di “neve” con le quali alcuni giocatori del Napoli festeggiavano le vittorie e dimenticavano le sconfitte. «Secondo l’accusa, Coppola seppe vendere il piede più famoso del mondo [Maradona, ndr] alla camorra, che ne fece un tossico da ricovero e un gingillo di lusso da esibire in pubblico. Ma dal nauseabondo pentolone esce ben altro». Saltano fuori una dozzina di nomi dei calciatori partenopei accostati al giro della cocaina: oltre a Maradona, Crippa, De Napoli, Carnevale, Ferrara, Francini, Mauro, Ferrario, Careca, Giordano, Bigliardi, Puzone... «Sono comparsi tutti davanti ai giudici della direzione investigativa antimafia, interrogati con le loro mogli e, in alcuni casi, con i papà. In qualità di testimoni, sia chiaro, anche se alcuni di loro figurano come “consumatori” più o meno abituali di droga».Francini è l’ex granata che Moggi si è portato appresso dal Toro al Napoli. Ferrara è il terzino del Napoli e della Nazionale che Moggi porterà con sé alla Juventus. Giordano è l’attaccante ex laziale che era stato fra i protagonisti dello scandalo scommesse scoppiato nella Lazio. Pure e semplici coincidenze, si capisce: perché di tutto quel giro di cocaina intorno ai suoi giocatori, alcuni dei quali suoi amici personali, Lucianone non ha mai saputo niente. E infatti l’inchiesta giudiziaria nemmeno lo sfiora. Fra i calciatori partenopei coinvolti nello scandalo, «avrebbero ammesso [l’uso di cocaina] Crippa e Francini, riscontri “forti” graverebbero su De Napoli, Renica, Bigliardi e Carnevale, sugli altri la polizia sta svolgendo altri accertamenti». Maradona e Pugliese, imputati del reato di traffico di droga insieme a Coppola e processati a Roma, verranno assolti nel dicembre 1995. Ma sul fatto che quei fiumi di coca scorressero in casa del Napoli non c’è il minimo dubbio. Possibile che il direttore generale, il trait d’union fra la società e la squadra, l’uomo dello spogliatoio, il confidente-amicone-consigliere dei giocatori, insomma l’attentissimo e occhiutissimo Luciano Moggi, non si sia mai accorto di niente?, non gli sia mai arrivata nemmeno una voce, non abbia mai avuto nemmeno un sospetto? Strano, molto strano, dal momento che sapeva tutto perfino il sindaco della città, Nello Polese: «Che Maradona prendesse la droga lo si sapeva da tempo». Eppure Lucianone – ingenuo com’è – non sapeva niente. Mai un sospetto, mai una voce, niente di niente. I due camorristi pentiti non parlano solo di droga. Parlano anche – e soprattutto – di partite combinate, e di uno scudetto regalato in extremis dal Napoli al Milan, nel 1988, perché le cosche che controllano il Toto clandestino volevano così. È questo il capitolo più interessante dell’inchiesta dei magistrati napoletani Luigi Bobbio e Luigi Gay. Anche perché, se le ipotesi accusatorie fossero confermate, si configurerebbe un illecito sportivo grande come il Vesuvio. L’antefatto è nello scudetto del 1987, vinto dal Napoli di Maradona (ma non ancora di Moggi), senza avversari essendo la Juve in declino. A fine anno, il “Giornale di Napoli” e “Il Sole-24 Ore” avevano titolato in prima pagina: «Lo scudetto del Napoli sbanca la camorra». La spiegazione è semplice: sulle ali dell’entusiasmo, migliaia di napoletani si erano precipitati a puntare forti somme sulla vittoria della squadra azzurra presso i bookmaker del Totonero, che da quelle parti è gestito direttamente da alcune cosche camorristiche. Le quali, a fine stagione, avevano dovuto pagare molti miliardi di vincite. La stagione seguente, nel solo girone di andata, la camorra aveva accettato scommesse per 20 miliardi sulla nuova vittoria del Napoli, con quote fino a “uno a tredici” (chi punta un milione ne vince 13): in pratica, se lo scudetto l’avesse rivinto il Napoli, i bookmaker della malavita avrebbero dovuto sborsare qualcosa come 260 miliardi. Una prospettiva che atterriva i capiclan, i quali proprio dal Totonero (oltre che dalla droga) ricavano gran parte dei loro guadagni. Per questo “era necessario” che il Napoli perdesse lo scudetto 1987-88: per recuperare i quattrini perduti l’anno precedente, e per evitare un nuovo salasso. A dicembre l’auto di Maradona, sebbene supersorvegliata, era stata danneggiata; negli stessi giorni Salvatore Bagni – l’altro calciatore simbolo della squadra scudettata – aveva subìto due furti in casa e uno in auto. Messaggi camorristici? Chi può dirlo. Sta di fatto che, dopo 25 giornate da primato, la trionfale galoppata del Napoli verso la riconquista dello scudetto si era interrotta nella primavera 1988 in modo brusco e inspiegabile. Intervistato dal “Corriere della Sera” nel marzo del 1994, un anonimo scommettitore rivelerà: «Già prima della sconfitta con il Milan, quella del 1° maggio, fu chiaro tutto. Quando il Napoli cominciò a perdere punti di vantaggio in poche partite, dopo averne accumulati così tanti durante il campionato, noi del giro intuimmo che si era venduto lo scudetto. La vittoria del Napoli veniva data a mezzo quando la squadra di Maradona aveva ancora 5 punti di vantaggio. Una quota bestiale, folle: giocando un milione te ne davano cinque. Era chiaramente un regalo. Tutti lo giocavano, ci mettevano milioni su milioni, il rischio sembrava minimo». Un sistema che pareva fatto apposta per attirare schiere di polli da spennare; poi l’improvviso crollo del Napoli: «Moltissime persone ci rimisero decine di milioni». I bookmaker, invece, guadagnarono decine di miliardi.Il narcotrafficante Rosario Viglione, dopo il suo arresto, racconta ai magistrati di non conoscere niente della faccenda del Totonero. Ma aggiunge che, dopo avere perso lo scudetto in quel modo incredibile, alcuni giocatori del Napoli andarono a sfogarsi con lui, e gli raccontarono che la combine partita-scudetto era il frutto di un accordo di vertice: il presidente napoletano Ferlaino cedeva lo scudetto a Berlusconi in cambio di alcuni immobili di Milano 3. Ma i calciatori erano d’accordo? Secondo Viglione, no; ma aggiunge: «Gli amici mi dissero che i giocatori erano stati allenati male, e spompati per bene prima delle partite decisive».Tutt’affatto diversa la versione del pentito Pietro Pugliese. La camorra dei bookmaker, secondo lui, c’entra eccome. «Sì, la cocaina ha a che fare con questa storia [dello scudetto perso dal Napoli, ndr], e c’entra pure la camorra. Ma all’epoca ci furono anche interessi diversi. Ci fu un accordo politico per fare perdere lo scudetto al Napoli. Ferlaino fu vittima di una amicizia politica... Ho riferito tutto ai magistrati, a novembre. Ora continuare a parlare solo di cocaina e camorra fa comodo a qualcuno». E aggiunge: «Maradona ha usato continuativamente la cocaina per sette anni, eppure è risultato positivo al doping soltanto dopo l’ultimo anno [il 17 marzo 1991, ndr]. È un fatto molto singolare, di cui bisognerebbe chiedere conto a Matarrese». Pugliese riferisce anche ciò che gli raccontò Salvatore Lo Russo, un suo compare e amico di Secondigliano. Lo Russo gli avrebbe detto che Berlusconi teneva a quello scudetto del 1988 «per motivi di immagine», e che per vincerlo non esitò a rivolgersi al suo amico Bettino Craxi, che ne avrebbe parlato con la Trimurti del Caf napoletano: Antonio Gava, Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato. I tre, «forti dei loro saldi legami » con ambienti dell’illegalità campana, si sarebbero mossi e alla fine, complice la camorra, il Napoli «riuscì a esaudire le aspettative di Berlusconi».Ferlaino smentisce sdegnato: «Non è vero niente, io per rivincere lo scudetto avrei pagato anche 100 miliardi!». Anche Berlusconi nega: «Sono assurdità tali che non vale nemmeno la pena di smentirle». Ma intervistato da “Panorama” nel febbraio 1995, Pugliese dice ancora di più: «Allo stadio San Paolo comandavamo noi: la camorra Spa», la quale gestiva direttamente il bagarinaggio, i biglietti di tribuna e gli abbonamenti. Pugliese si sarebbe affacciato nel mondo del calcio grazie alla presentazione di un uomo politico e di un magistrato: «Il senatore missino Antonio Rastrelli [futuro presidente della Regione Campania per il Polo, ndr] e il giudice Carlo Foglia, che è mio cugino... Mi portarono dal presidente Ferlaino... che pochi giorni dopo mi mandò a chiamare e mi affidò all’amministratrice di una sua società di costruzioni». I nomi fatti da Pugliese a proposito del “disegno politico” che avrebbe determinato la truffaldina sconfitta del Napoli e la conseguente vittoria del Milan sono tutti in un verbale datato 19 novembre 1994 e redatto da un ufficiale della Guardia di finanza. Un verbale che però – dopo accurate indagini – non troverà alcuna conferma, e verrà dunque archiviato come inattendibile. Restano comunque assodati alcuni dati di fatto certi, connessi allo scudetto 1987-88 inopinatamente perso dal Napoli e sorprendentemente vinto dal Milan, tali da rendere verosimili i peggiori sospetti.Il primo elemento inoppugnabile sono le minacce che, dopo quell’incredibile sconfitta, cominciarono a subire i giocatori più rappresentativi del Napoli. Minacce, secondo molti, finalizzate a impedire eventuali “pentimenti” e ammissioni. Alcune le ricorda Pugliese: «A Maradona rapinarono i trofei e i gioielli che aveva in banca. Fu un avvertimento, poi glieli restituirono. Io stesso l’ho accompagnato otto volte a casa di Salvatore Lo Russo, che allora era agli arresti domiciliari, durante la trattativa per fargli riavere la roba rubata. Poi c’è la storia del figlio di Salvatore Bagni: il bambino morì in un incidente stradale e dopo qualche tempo la salma fu portata via [trafugata dal cimitero, ndr]. Anche quello fu un avvertimento e io l’ho spiegato ai magistrati. Non era mai successo che qualcuno pigliasse una creatura da sottoterra. E il corpo non è mai stato trovato, né sono stati pagati soldi. Un movente vero non c’era, se non quello che io conosco bene. Volevano farli tacere...». Il 26 ottobre 1989 alcuni rapinatori avevano svaligiato le cassette di sicurezza della Banca di Provincia, compresa quella dove Maradona teneva i suoi trofei 26. Tre clan si erano poi attivati per fargli riavere il tesoro, che alla fine era stato riconsegnato al legittimo proprietario. I magistrati hanno tentato di interrogare Maradona su quegli sconcertanti episodi, ma lui non si è presentato. Il secondo dato certo sono i contatti di alcuni giocatori del Napoli – dunque non del solo Maradona – con alcuni boss della camorra napoletana: rapporti e contatti dimostrati sia dalle fotografie scattate dagli agenti della Questura partenopea, sia dalle ammissioni degli interessati. Decine di foto immortalano il fuoriclasse argentino in compagnia di capiclan, a cominciare dal suo amico Carmine Giuliano. Ci sono le deposizioni di alcuni calciatori (e delle rispettive consorti), che ammettono di aver frequentato case e barche di vari boss, con o senza contorno di cocaina: come il party organizzato – secondo la moglie di Renica – dal capo-tifoseria Gennaro Montuori detto “Palummella” a casa dei boss di Forcella, i Giuliano, per festeggiare con “piste di neve” il secondo scudetto del 1990. O come l’altro “party” di cui parla la moglie di Francini, allestito per l’occasione dai fratelli Lo Russo, boss della cosca dei Capitoni. Rapporti fra boss camorristici e calciatori del Napoli così plateali da lasciare interdetti. Eppure il direttore della squadra partenopea, l’attentissimo Moggi, non se ne è mai accorto. Grandi sniffate di droga, grandi feste a casa dei mafiosi, delle quali il responsabile della squadra, l’informatissimo Moggi, non ha mai saputo niente. Intimidazioni, voci, sospetti intorno a uno scudetto perso dal Napoli per “cause di forza maggiore”: ma lo scaltrissimo Lucianone non ha mai visto né sentito niente. Complimenti.

mercoledì 25 giugno 2008

Aquella final



Il 25 giugno del 1978 nello stadio Monumentale di Buenos Aires, Argentina e Olanda si affrontavano nella finale della Coppa del Mondo, non solo una partita per il popolo dell'albicelsete, che stava affrontando uno dei monenti pù bui della sua storia, sul quale l'opinione pubblica aveva chiuso gli occhi. "El grupo estaba mentalizado en jugar y nada más", così dice oggi Leopoldo Luque a Clarín.com, noto quotidiano della capitale. Ed i generali, che all'inizio videro la manifestazione come un evento negativo, seppero poi usarlo per fini politici, dando impulso alla loro iniziativa, dietro cui stavano i dollari americani.

giovedì 19 giugno 2008

L'infamia

Quale è stata la cosa più infamante che avete dovuto sopportare nella vostra pur breve vita?

venerdì 6 giugno 2008

a che serve

http://www.corriere.it/cronache/08_giugno_06/bimba_orsetto_peluche_436ea98e-33c7-11dd-9532-00144f02aabc.shtml

la simbologia è cio' che ci rasserena, la religione è l'oppio dei popoli, per qualcun altro sono gli oggetti a rappresentare l'ancora di salvezza

sabato 31 maggio 2008

Aforismi

Ernest Hemingway diceva che la cosa migliore che aveva scritto era un racconto cortissimo, di appena sei parole: "Vendo scarpette da neonato. Mai usate".